Giorgio Gnoli – Consulente CRM e Temporary Manager

Capita spesso: arriva il momento in cui vuoi capire se il marketing che stai facendo… sta funzionando davvero.
Non intendo in senso vago. Intendo: quale campagna ha portato quel cliente, quale contenuto ha fatto davvero la differenza, e — soprattutto — dove vale la pena continuare a investire.

E qui arriva la parola grossa: attribution modeling. E il CRM, se impostato bene, può diventare il tuo miglior alleato.


Il problema: tutto sembra utile, finché non serve capire cosa lo è davvero

Faccio un esempio.
Hai lanciato una campagna su LinkedIn, una newsletter, un webinar. Qualcuno si converte.
E nel CRM ti ritrovi una riga con nome, cognome, data della conversione, magari un campo “fonte” scritto a mano tipo “adv settembre”.
Fine.

Ma come fai a sapere se quel webinar ha davvero inciso?
Se la newsletter ha semplicemente “fatto compagnia” o se ha spinto alla decisione?
E se quel cliente aveva già visitato 3 volte il sito nei giorni precedenti?

Ecco il punto: senza un sistema di attribuzione solido, il CRM diventa solo un archivio.
Un “database glorificato”, come l’ho definito in questo articolo.


Cosa fa davvero l’attribution modeling (e cosa non fa)

L’attribution modeling serve a ricostruire il percorso.
Non si limita a dire “chi ha convertito”, ma prova a spiegare “perché ha convertito”.

A seconda del modello che usi:

  • First click: tutto il merito al primo touchpoint.

  • Last click: all’ultimo (classico, ma spesso fuorviante).

  • Time decay: più valore ai contatti più vicini alla conversione.

  • Distribuito: ogni punto del percorso prende una percentuale.

In teoria sembra lineare.
In pratica… dipende molto da cosa vuoi capire.
E dal fatto che la realtà non è mai così ordinata come un funnel disegnato su una slide.


Il CRM dovrebbe aiutarti a decidere, non a consolarti

Un CRM ben strutturato deve fare una cosa sopra tutte: aiutarti a prendere decisioni migliori.
Se ogni dato serve solo a compilare report settimanali che nessuno legge davvero, allora c’è un problema.

Il punto non è riempire dashboard, ma rispondere a domande come:

  • Dove sto sprecando budget?

  • Quale canale porta lead che poi si muovono nella pipeline?

  • Quali campagne generano vendite, non solo contatti?

E per farlo servono:

  1. Dati tracciati correttamente

  2. Un CRM configurato con logica e obiettivi

  3. Un modello di attribuzione coerente con il tuo processo decisionale

Sì, ci vuole tempo. Ma è tempo ben speso.


Non è solo una questione tecnica

Quello che vedo spesso è questo: si pensa che l’attribution modeling sia un argomento “da tool”.
Tipo: “Ci pensa il CRM”, oppure “lo fa Google Analytics”.

In realtà è una scelta di metodo.
Serve pensiero critico, consapevolezza, confronto tra team marketing e sales.
Serve anche ammettere che i dati, da soli, non bastano: vanno letti nel contesto, con intelligenza e con onestà.

È qui che vedi la differenza tra un’azienda che cresce davvero e una che rincorre metriche di vanità.


Quando lo fai bene, cambia tutto

Quando inizi ad attribuire bene, anche solo parzialmente, succede una cosa interessante:

Le decisioni smettono di essere dettate da sensazioni.

Inizi a ridistribuire i budget, a capire quali contenuti funzionano davvero, a fare lead generation con più coerenza.
Ti accorgi, magari, che il canale che sembrava “scarso” è in realtà quello che prepara il terreno.
E che i contatti “caldi” arrivano quasi sempre da un certo mix tra paid e contenuti organici.

E no, non hai bisogno di avere un mega stack martech per fare questo.
Magari ti basta anche un CRM semplice, ma configurato con testa.
Puoi iniziare con soluzioni leggere, anche Notion usato come CRM, se hai un business snello.


Attenzione però: non cercare la perfezione

Ti dico una cosa che ho imparato a mie spese:

L’attribution modeling non è mai perfetto. E va bene così.

Non c’è un modello “giusto” e uno “sbagliato”. C’è quello che funziona per il tuo contesto, il tuo ciclo di vendita, le tue priorità.

È meglio avere un modello utile, anche se imperfetto, piuttosto che inseguire dashboard piene di numeri che sembrano precisi ma non dicono niente.

E no, il modello non si imposta “una volta per tutte”.
Va rivisto, tarato, aggiornato.


In sintesi (anche se non serviva): è questione di visione

Attribuire correttamente le conversioni nel CRM non è una mossa tecnica, è una scelta strategica.
Significa accettare la complessità del percorso cliente, dare dignità ai dati senza cadere nell’ossessione della precisione millimetrica.

Significa anche sapere che, a volte, l’impatto di una campagna si vede mesi dopo, o in forme che i tracciamenti standard non sanno rilevare.

E che ogni conversione racconta una storia.
Il CRM dovrebbe aiutarti a leggerla, non a semplificarla fino a farla sparire.


Ti interessano altri spunti sul tema? Prova qui:


Se sei arrivato fin qui, forse stai cercando il modo di fare ordine.
E magari il primo passo è semplicemente smettere di delegare tutto “ai numeri” e iniziare a farti le domande giuste.

Perché i dati non sono mai la risposta.
Sono solo il punto di partenza.


Fammi sapere che ne pensi. Oppure dai un’occhiata ai miei servizi, se vuoi approfondire.